Sintomi e dissociazione
Un sintomo è spesso l’espressione di “informazioni” non funzionali. Una dichiarazione del sé che espone al mondo il proprio adattamento al disagio. Il disturbo non è quindi altro che un tentativo di adattamento.
I sintomi non sono mai scelte volontarie perché non coinvolgono la consapevolezza. Lo sono però perché rappresentano il tentativo della nostra personalità di far fronte alle necessità della vita, a partire dalla propria dotazione e utilizzando ciò che di sé può funzionare.
L’esistenza propone un costante stato di cambiamento che coinvolge tanto il nostro mondo esterno quanto quello interno e così l’equilibrio psichico è sempre sottoposto alla necessità di riadattarsi, di ritrovare un nuovo accomodamento per poter proseguire la strada.
Le neuroscienze dimostrano che il cervello è capace di riadattarsi ad ogni età e oggi possiamo affermare con certezza che l’ostacolo al cambiamento non viene dalla nostra struttura neurobiologica. Il blocco non parte da ciò che in passato si credeva, cioè l’impossibilità di riadattamento della conformazione cerebrale acquisita in fase evolutiva, a favore delle nuove esigenze e sfide della vita.
Un’esistenza sana ha la necessità di affrontare varie fasi del ciclo vitale e di trovare in ciascuna, sufficiente soddisfazione al ben-essere. Queste fasi non si interrompono dopo l’adolescenza e con il passaggio all’età adulta, ma proseguono e continuano a proporre modificazioni e richieste di adeguamento anche quando si è adulti: chiedendo a ciascuno, nuovi equilibri per transitare nella maturità e via via nei momenti di minore attività della vita.
Riadattare noi stessi a volte può sembrare più difficile e duro di quanto non sia già affrontare il quotidiano, ed è per ciò che la nostra psiche adotta un meccanismo chiamato dissociazione, con il quale proiettiamo “lontano da noi” ciò che più ci disturba e appesantisce; rendendo però così la vita piena di ostacoli.
Il gioco è simile a quando da bambini lanciavamo sassi con la fionda: il corpo contundente (il sasso/problema) veniva buttato lontano da noi e solo là, a distanza, andava a creare danni (il vetro rotto o il bernoccolo sulla testa dell’avversario).
Dissociare le parti disturbanti dalla nostra consapevolezza sembra avere un po’ la stessa funzione e gli stessi effetti, oltreché assumere forme sintomatologiche tra le più disparate.
Così ad esempio, ci possiamo trovare impegnati in rituali legati all’igiene (lavarsi le mani in modo ripetitivo, pulire o lucidare continuamente alcune superfici, ecc.) o alla sicurezza (controllo delle serrature, del gas o di altri dettagli), senza poterne comprendere davvero la ragione.
Sentiamo il bisogno di eseguire certe azioni, come accendere una sigaretta, allo scopo di rilassarci e senza poterne fare a meno, continuando a dare la colpa all’ambiente in cui viviamo: troppo “sporco”, poco “sicuro”, troppo “stressante”. Questi sono tutti concetti molto e troppo generici per rappresentare una vera motivazione, ma perfetti allo scopo di giustificare qualcosa che non sentiamo davvero nostro e quindi non sappiamo comprendere con la ragione.
La nostra mente ha portato lì la sua attenzione per allontanarla da noi stessi. Ha dissociato da noi ciò che poteva ferirci e che non riuscivamo a risolvere in altro modo, pur di mantenerci in equilibrio e lasciarci il più possibile in salute. Al contempo però noi vediamo progressivamente più limitate le nostre sicurezze, la scioltezza con cui affrontiamo le giornate, il nostro livello generale di libertà interiore; anche se il disturbo non sembra riguardarci così da vicino ma essere causato da altro da noi e in questo modo, rassicurarci sulla nostra integrità.
La ricerca e la letteratura ci dicono che alla base della dissociazione insistono traumi più o meno importanti, isolati o prolungati nel tempo, che hanno indotto la mente ad utilizzare questa come una strategia di risposta. Questi traumi sono sembrati troppo difficili da affrontare con le nostre risorse infantili o giovanili e così la mente ha “deciso” che non poteva occuparsene. Ci siamo raccontati di poter andare oltre lasciando stare quella parte della nostra storia e relegandola altrove dalla nostra consapevolezza.
Tutto ciò funziona però sin quando il sintomo non ci chiama più forte. Fino a quando il problema espresso dal comportamento problematico o dal vissuto interiore, non inizia a parlare la lingua del nostro passato, che noi siamo ancora incapaci di ascoltare. Il sintomo impedisce una vita pienamente libera e serena o ci crea addirittura dolore, trasformandosi in una patologia organica che impegna il nostro corpo.
La psicoterapia è un percorso di cura, di elaborazione e di apprendimento che può rispondere adeguatamente a queste forme di sofferenza, perché nel raccontare ad un professionista preparato la nostra storia possiamo trovare l’aiuto necessario a comprendere il senso di ciò che abbiamo allontanato dalla nostra consapevolezza, dissociando emozioni e trasformandole in sintomi fastidiosi. Parlando di noi possiamo recuperare la nostra serenità e riallacciare tra loro i fili della nostra esperienza, così da sentirci di nuovo integri e decidere consapevolmente con quali parti di noi rispondere alle sollecitazioni della vita.